In Lombardia, la sanità pubblica e privata ha gli stessi diritti e gli stessi doveri: così aumenta la competitività e le strutture possono soddisfare i bisogni dei pazienti che scelgono dove andare. Ma è davvero così?
Con la norma regionale n. 31 del 1997, voluta dall’allora Presidente della regione Roberto Formigoni, la Lombardia è ad oggi l’unica regione italiana che ha stabilito per legge la parità di diritti e di doveri fra soggetti pubblici e privati convenzionati che operano nel servizio sanitario.
L’intenzione è quella di promuovere la competitività tra le strutture per soddisfare i bisogni dei pazienti, che possono scegliere dove farsi curare. E la regione rimborsa indifferentemente gli uni e gli altri, all’interno di tetti di spesa contrattati.
Tutto questo, sulla carta, sembra un modello da seguire e, difatti, molto spesso la regione è stata presa come esempio da esportare. Ma funziona davvero?
I modello Lombardia
Cominciamo dai posti letto. In totale sono 29.308, di cui il 70% pubblici e il 30% privati.
Ciò vuol dire che di tutti i tipi di ricoveri, oltre 1,2 milioni, il 70% è pubblico e il 30% privato.
Su 100 posti letto in un ospedale pubblico, 45 sono occupati da chi entra per un’emergenza passando dal Pronto soccorso. Su 100 posti nel privato, solo 20 pazienti arrivano dal Ps.
Per accedere in ospedale per un intervento chirurgico occorre prenotare la visita specialistica: per le strutture pubbliche c’è un sistema di prenotazione trasparente che indica dov’è possibile andare e in che tempi. Per quelle private, invece, bisogna rivolgersi alle singole strutture accreditate che, nella maggioranza dei casi, non mettono mai pubblicamente a disposizione le loro agende.
Che tipo di interventi fa il privato?
Per una lunga lista di ricoveri e interventi chirurgici il rapporto pubblico-privato 70 a 30 s’inverte.
Prima di tutto, vengono eseguiti gli interventi ben pagati, spesso a rischio di inappropriatezza perché il medico ha un’ampia discrezionalità nel decidere se è utile eseguirli o meno.
Sono quelli per obesità, che le strutture accreditate eseguono per il 74,5%, con un rimborso di 5.681 euro; sulle valvole cardiache, che valgono 21.882 euro e sono svolti dal privato per il 51% (a Milano per il 66,2%); le artrodesi vertebrali fatte per oltre l’80% dal privato.
Secondo: le prestazioni più remunerative delle specialità di cardiologia/cardiochirurgia e ortopedia (dove le strutture private hanno già elevati margini di guadagno perché negli acquisti hanno meno vincoli del pubblico). A Milano, dove sono concentrati i colossi della Sanità accreditata, i privati impiantano il 60% dei defibrillatori (rimborso 19.057 euro), il 68% delle valvole cardiache (17.843 euro), l’88% dei bypass coronarici (19.018 euro) e il 90% degli interventi sulle articolazioni inferiori (12.101 euro).
Terzo: su oltre 500 tipi d’intervento, il privato fa la metà del suo fatturato con 25 prestazioni, il pubblico 43. Segnale evidente che l’attività si concentra in ambiti di specialità più convenienti.
E il pubblico?
Nel pubblico, vengono eseguiti interventi molto costosi e rischiosi, a partire dai trapianti che si possono eseguire solo l’ospedale pubblico. E poi l’80% delle emorragie cerebrali, l’87% delle leucemie. I neonati gravemente immaturi sono curati per l’87,2% nelle strutture pubbliche.
Oltre a tutti quegli interventi poco remunerativi, ma molto comuni: parti (81,8%), aborti (90%), calcoli (80%), polmoniti (78%), appendiciti (83,9%), tonsille (79,3%). Le operazioni per tumore al seno sono, invece, equamente ripartite.
A conti fatti gli ospedali pubblici sono in perdita, con la Regione che ogni anno deve ripianare i bilanci. Mentre i gruppi privati fanno utili importanti.
Conclusioni
Un modello tanto acclamato che però, nei fatti, non sembra sia in grado di garantire quella parità di diritti e doveri prevista dalla legge regionale, e che sta portando al deperimento del pubblico.
È però in discussione una riforma proposta dall’assessora al Welfare Letizia Moratti che asserisce come sia necessario “un miglior governo dell’offerta”. E cioè, in buona sostanza: accredito il privato per fargli fare di più quello che serve, non solo quello che gli conviene.
Fonte: Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas),
Dati 2019