La seconda ondata di Covid-19 si sta di nuovo abbattendo nelle Residenze Sanitarie Assistenziali: oggi ancora luogo tragico di contagi e decessi.
Ma perché, anche questa volta, gli anziani non sono protetti?
Pensavano di morire di vecchiaia all’interno di quelle mura. Loro, che la guerra l’hanno vissuta, pensavano che anche la pandemia sarebbe finita, che anche il Covid-19 battesse in ritirata.
E invece no.
La seconda ondata autunnale si è affacciata violenta di nuovo lì, nelle RSA, dove gli anziani erano rimasti pensando di essere passati indenni davanti allo spettro della pandemia che attanaglia proprio loro: i più fragili e vulnerabili.
Le RSA dovevano essere blindate la prima volta, a marzo; a maggior ragione dovevano essere una cassaforte ora. Invece non è andata così, il virus si è nuovamente insinuato e anche stavolta dalla porta principale.
L’elenco di cosa è andato storto durante la prima ondata è lungo: mancanza di dispositivi di protezione individuale, impreparazione sulle procedure da svolgere per contenere l’infezione, assenza di personale sanitario qualificato, difficoltà nel trasferire i residenti infetti in strutture ospedaliere, impossibilità di far eseguire i tamponi. Ma questo non basta a spiegare il perché le RSA sono diventate cimiteri. Il problema è che uno dei pilastri del nostro sistema di welfare non ha le fondamenta.
Tanti anziani, poca assistenza
L’Italia è il primo Paese d’Europa con più anziani e dove si vive più a lungo.
Gli over 80 sono ad oggi 4,4 milioni, di cui 2,2 sopra gli 84. Tra 10 anni si stima vi saranno quasi 800 mila ultra 80enni in più, che diventeranno quasi 8 milioni nel 2050.
Attualmente l’Italia dispone di 18,6 posti letto ogni 1.000 anziani, contro una media di 43,8 nel resto d’Europa. In rapporto alla popolazione over 80 dovremmo avere oltre 600 mila posti letto.
Più precisamente l’Italia dispone di 200 mila posti letto accreditati, di cui 160 mila occupati da non autosufficienti. Altri 50 mila posti sono disponibili presso strutture private dove il costo è totalmente a carico dell’ospite.
Le case di riposo sono in tutto 7.372; i Comuni ne gestiscono il 26,7%, i privati no profit (cooperative, fondazioni religiose) il 48%, le società private profit il 25%.
Ma quanto costa essere anziano?
Il costo della retta può variare dai 2.400 agli oltre 4.000 in relazione al grado di autosufficienza della persona e a seconda delle Regioni.
Il finanziamento pubblico di norma copre la metà del costo e l’altra metà è a carico dell’ospite, ma anche qui varia a seconda delle Regioni. Ad esempio, se la media è di 50 euro al giorno, nelle strutture profit della Lombardia può arrivare a 102 euro, perché le spese sanitarie (farmaci, visite mediche, riabilitazione) sono a carico dell’ospite.
Ci sono anche le case famiglia, che non prendono contributi pubblici e coprono 50 mila posti letto: la retta mediamente è di 1.800 euro al mese e possono avere al massimo 7 ospiti.
Un numero così limitato dovrebbe rappresentare la condizione migliore per l’assistenza agli anziani, ma delle oltre 1.500 irregolarità riscontrate nel 2019 – per abbandono di incapaci, maltrattamenti, omicidi colposi, esercizio abusivo della professione, sovra-numero per stanza, scarsa pulizia, pasti o alimenti in cattivo stato di conservazione – oltre il 75% riguardano proprio le case famiglia e i privati convenzionati. Va ricordato che gli unici controlli a cui sono sottoposte è la saltuaria visita dei Nas.
La qualità dell’assistenza
Nelle case di riposo private accreditate ci sono certamente maggiori capacità manageriali, ma anche un maggior ricorso a medici e infermieri esterni pagati da cooperative (il 43%).
Spesso la formazione del personale, che deve assistere anziani in condizioni cliniche sempre più complesse, non è adeguata. Le statistiche elaborate sui dati della Regione Lombardia, ma che riflettono l’andamento generale, mostrano che nelle RSA pubbliche lo standard di assistenza medio a ciascun ospite è di un’ora e mezzo in più a settimana rispetto alle società profit.
Conclusioni
L’epidemia, oltre a tutto quello che ha provocato sotto gli occhi di tutti, ha anche scoperchiato il problema nascosto di una fascia di popolazione, la terza età, abbandonata a se stessa.
I nodi da affrontare con urgenza sono: un aumento dei posti letto, soprattutto per i casi più gravi di fragilità; regole più severe di accreditamento (da fare rispettare pena l’espulsione dal sistema); arruolamento di figure professionali adeguatamente formate; una generale riqualificazione professionale degli operatori sanitari; un sistema di finanziamento al passo con la complessità dei casi ricoverati.
Oggi ci auguriamo che la Commissione per riformare le RSA possa realizzare, il prima possibile, un piano operativo di ricostruzione del settore.