Riconosciuto dalla Cassazione il diritto al risarcimento da sangue infetto se le sacche non sono tracciabili
Danno da sangue infetto: è ancora possibile? Il sistema delle donazioni e delle trasfusioni di sangue può essere considerato oggi abbastanza sicuro. Basti pensare, ad esempio, che il rischio di contrarre un’infezione da HIV si è quasi azzerato e che, in base a un recente studio, le probabilità di infettarsi sono comprese tra una su due milioni e una su 45 milioni.
Nonostante questo, si sente ancora, di tanto in tanto, qualche notizia relativa alle trasfusioni di sangue infetto e ai danni riportati dai pazienti. Nella maggior parte di casi si tratta però di vecchie vicende, le cui conseguenze si trascinano a lungo nel tempo.
Questo non significa che l’accaduto debba essere dimenticato o che il paziente debba lasciar correre sul danno subito. Denunciare di aver ricevuto trasfusioni infette è infatti possibile anche dopo diverso tempo, proprio come riportano diversi casi di cronaca giudiziaria.
Trasfusione sangue infetto: di chi è la responsabilità e come accertarla
In merito alle trasfusioni di sangue infetto si è pronunciata la Corte di Cassazione che, tra le altre, nell’ordinanza n. 852/2020, sez. III Civile, ha affermato che è l’ospedale a dover provare che il sangue fornito sia “sano”, e non il paziente il contrario.
Ecco come si è arrivati a questa conclusione.
La vicenda risale al 1982, anno in cui il paziente aveva contratto il virus dell’epatite B (virus HBV) in seguito ad una trasfusione ricevuta presso un ospedale della Campania di sangue successivamente rivelatosi infetto.
L’uomo si era rivolto alla Corte di Cassazione dopo che la Corte d’Appello di Napoli aveva accolto l’appello del Ministero della Salute rigettando la sua richiesta di accertare la responsabilità contrattuale dell’Azienda sanitaria e dei singoli sanitari, in quanto non erano state fornite prove delle inadempienze o negligenze del personale medico e del fatto che il sangue trasfuso fosse effettivamente contaminato.
Per la Corte territoriale l’azienda ospedaliera avrebbe potuto essere condannata se il danneggiato avesse dimostrato l’avvenuta utilizzazione di sacche di sangue estranee ai circuiti autorizzati dal Ministero.
Il paziente danneggiato si era invece limitato a ipotizzare la provenienza del sangue da sacche ignote perché nella cartella clinica risultava mancare il referto di accompagnamento del Centro Emotrasfusionale, ovvero la tracciabilità, che però secondo i giudici non poteva equivalere ad una prova.
Inoltre, all’epoca dei fatti, l’uso di sangue infetto non era imputabile alla struttura ospedaliera in quanto il materiale proveniva da centri autorizzati controllati dal Ministero della Salute.
Il ricorso in Cassazione e la pronuncia sulle trasfusioni di sangue infetto
Il paziente ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione lamentando il fatto che il Giudice di merito avesse invertito l’onere della prova, ponendo a suo carico, oltre a quella del nesso causale fra trasfusione e danno, anche la prova della colpevolezza della struttura nonostante, in base ai principi della responsabilità contrattuale, il debitore sia tenuto al risarcimento del danno a meno che non provi che l’inadempimento o il ritardo risulti determinato da una causa a lui non imputabile.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha quindi decretato che “L‘impossibilità di tracciare una sacca di sangue trasfusa comporta un’irregolarità assimilabile alla difettosa tenuta della cartella clinica, cui è collegata l’affermazione di responsabilità”.
Difatti la cartella clinica è un atto pubblico che adempie alla funzione di diario del decorso della malattia e di altri eventi clinici che, in maniera precisa e puntuale, devono essere annotati contestualmente al loro verificarsi, altrimenti il personale medico e la struttura sanitaria sono imputabili per imperizia consistente nella sua irregolare tenuta.
Tanto più che nel caso delle trasfusioni risulta fondamentale la tracciabilità delle sacche di sangue, poiché il paziente, o i suoi familiari in caso di conseguente decesso, ha diritto a conoscere la provenienza del sangue che gli viene trasfuso e ad ottenere il risarcimento in caso di contrazione di virus in esso contenuti.
Come richiedere e ottenere un risarcimento danni da sangue infetto
Per definire l’ammontare dei risarcimenti da sangue infetto si applicano le tabelle del Tribunale di Milano e in base a un’altra ordinanza della Cassazione, la n. 19187 del 2020, questo viene calcolato dalla data in cui è stata ricevuta la trasfusione infetta, anche se i danni si sono manifestati solo successivamente.
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