È proprio il caso di dirlo, in Italia la salute non è uguale per tutti.
In un’epoca di trasformazioni, le disuguaglianze purtroppo non cambiano mai.
Viviamo in un momento storico in cui l’innovazione è all’ordine del giorno in tutti i settori, anche quello della sanità. Ma allora perché i cittadini ancora hanno difficoltà ad accedere alle cure che gli spettano?
Perché la sanità in Italia non è uguale per tutti. Il Nord e il Sud viaggiano a velocità diverse, con il secondo purtroppo sempre indietro. In un’era di continuo rinnovamento, l’Italia invece resta ferma.
Aspettativa di vita: dove vivi fa la differenza
Sembra impensabile ma secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Salute si vive più al lungo a Nord che non al Sud. Si registra infatti un divario importante rispetto all’aspettativa di vita, a Napoli gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; a Trento i primi sopravvivono 81,6 anni, le seconde 86,3.
Le diseguaglianze si diffondono su piani diversi: quello tradizionale tra Nord e Sud, quello infra-regionale tra città e provincia e tra metropoli e le altre città.
Nel dettaglio, il dato sulla sopravvivenza mette in luce l’enorme svantaggio delle province di Caserta e Napoli che hanno una speranza di vita di oltre 2 anni inferiore a quella media nazionale, seguite da Caltanissetta e Siracusa che palesano uno svantaggio di sopravvivenza di 1,6 e 1,4 anni rispettivamente. In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne.
Liste d’attesa: il Sud “aspetta” di più
Cattive notizie anche per i tempi di attesa. A certificare il divario ci sono le lunghissime liste d’attesa che in alcune regioni fanno in modo che i diritti restino spesso solo sulla carta, determinando drammaticamente la nascita di “percorsi paralleli” a quelli ufficiali, creati da chi, nel bisogno, cerca strade alternative per accedere ad interventi ed esami clinici spesso fuori dalla sua Regione. E per ottenere ciò è disposto davvero a tutto: per cui si arriva a casi di favori, vantaggi, raccomandazioni e di richieste tipiche, “da amici degli amici”, finalizzate a saltare, innanzitutto, le liste d’attesa. Ma così facendo, da un lato si legittima la trasformazione di un diritto in una concessione e, dall’altro, la mutazione dei cittadini in sudditi se non talvolta in delinquenti.
La spesa sanitaria: dove vivi, tanto spendono
A confermare le disuguaglianze non solo Nord-Sud, ma da regione a regione, si aggiunge anche la spesa sanitaria pro capite. Nel rapporto presentato dal Tribunale per i diritti del malato a proposito di spesa sanitaria pubblica pro capite, si passa da un minimo di 1.770 euro della Campania, ad un massimo di 2.430 euro a Bolzano e 2.120 dell’Emilia-Romagna. Profonde anche le differenze sulla spesa sanitaria annuale delle famiglie: dai 159 euro in media della Lombardia, ai 64 euro della Campania.
Altri importanti divari
Per l’arrivo dei mezzi di soccorso si attende da un minimo di 13 minuti in Liguria ad un massimo di 27 min. in Basilicata (il tempo standard dovrebbe essere contenuto in 18 minuti). I centri diurni per la salute mentale variano dai 3 del Molise ai 69 della Toscana, quelli per l’autismo dai 6 di Puglia ed Umbria ai 309 del Veneto, i centri per l’Alzheimer dall’1 del Molise ai 109 del Veneto; 789 le Residenze sanitarie assistenziali (RSA) presenti in Veneto, 605 in Piemonte, 319 in Toscana, circa 32 nelle altre Regioni.
Ma cosa si può fare per colmare il divario?
Quelli che abbiamo letto non sono solo numeri. Perché dietro ogni numero ci sono persone. Ci sono cittadini che pur appartenendo allo stesso Paese sembrano vivere in luoghi diversi, ci sono pazienti che vedono la loro salute avere meno valore agli occhi della sanità pubblica.
Per risolvere o almeno arginare queste disuguaglianze, però, ci sono dei costi da sostenere, che oltre ad essere economici sono anche culturali. Pensiamo soltanto che oggi la spesa sanitaria in Italia è la stessa di sette anni fa, come se il tempo non fosse mai passato, come se ci fosse la volontà di non progredire. Le istituzioni non possono restare ferme, è necessario investire concretamente in salute, con programmi mirati e rispondenti alla singola realtà territoriale, per far sì che l’Italia sia una per tutti.
Noi cittadini, dal canto nostro, dobbiamo pensare ad un’Italia nuova e possibile, evitando di cadere nella trappola del luogo comune del “tanto non cambierà mai” ma facendo sentire la nostra voce quando necessario.