Subito dopo l’emergenza e fino al 30 aprile 2020, l’Inail-Iss e 7 Regioni italiane hanno condotto uno studio sui contagi all’interno delle professioni sanitarie. Più colpita la categoria degli infermieri, maggiormente contagiate le operatrici sanitarie, luogo primario di infezione gli ospedali.
Lo Studio
Dal 10 marzo fino al 30 aprile 2020, l’Inail, in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità, e con 7 Regioni italiane (Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Abruzzo, Puglia e Sicilia) hanno eseguito congiuntamente uno studio sull’incidenza del Covid-19 sulle professioni sanitarie.
Dai dati registrati sul documento, si rileva che è la categoria degli infermieri, con il 47,9%, quella più colpita dall’infezione derivante dal nuovo Coronavirus. A seguire, i medici, con il 20,5%, e gli operatori socio-sanitari con il 19,7%. Guardando al genere, a essere maggiormente contagiate sono state le donne (67,4%) rispetto agli uomini (32,6%), con un’età media pari a 47,4 anni e mediana pari a 49 anni. Anche queste cifre confermano che a fronteggiare per primi un nemico sconosciuto e, ad oggi, non del tutto definito, sono stati proprio gli addetti del sistema sanitario.
Operatori sanitari e gestione dell’epidemia
L’aspetto interessante del report è quello di non aver rilevato soltanto il numero. È stato difatti affrontato il tema del contagio tra gli operatori sanitari attraverso un’analisi dell’epidemia dai suoi albori, quando cioè la comparsa di un agente virale e di una patologia del tutto nuovi e sconosciuti, hanno determinato una lunga serie di drammatiche difficoltà per il sistema sanitario nazionale in termini di diagnosi, tracciamento e trattamento dei casi.
Come viene ricordato nella premessa, fin dalle primissime fasi dell’emergenza, durante il proliferare sempre più serrato dei contagi, il personale sanitario ha svolto un ruolo cruciale nella gestione dell’epidemia, sia per la cura in prima linea dei pazienti infetti, con il conseguente maggior rischio di esposizione, sia nell’assicurare la piena implementazione delle misure di prevenzione e controllo per il contenimento del contagio.
I territori del virus
Nella ricerca dell’Inail-Iss, le ca. 16mila schede esaminate provenienti dalle sette regioni citate e relative agli operatori sanitari risultati positivi durante la prima ondata dell’epidemia, hanno consentito di raggruppare le regioni in quattro macro-aree.
In particolare la Lombardia rappresenta il Nord-Ovest (con il 63,7% dei contagi), il Veneto confluisce nel Nord-Est (19,6%), il Lazio e la Toscana afferiscono al Centro (10,8%) e l’Abruzzo, la Puglia e la Sicilia nella macro-area Sud e Isole (6,0%).
Ospedali come luoghi di contagio
Per quanto riguarda la tipologia di struttura in cui sono avvenuti i contagi del personale sanitario, dallo studio risulta che sul campione totale, il 76,5% dei casi in esame ha operato prevalentemente in strutture di ricovero e cura. Tra queste, la maggior parte (94,2%) era costituita da strutture ospedaliere. A seguire, con il 4,2%, le strutture socio-sanitarie (residenze sanitarie assistenziali, case riposo/case famiglia e hospice).
Ricoveri e modalità di contagio
Il report ha inoltre il merito di aver approfondito altri aspetti riguardanti in maniera più specifica il contagio da Covid-19. È emerso che gli operatori sanitari ospedalizzati sono stati 3.633, pari al 22,8% del campione totale, i ricoverati in terapia intensiva 197 (1,2%) e 63 gli operatori deceduti (0,4%). Quanto infine alle modalità di contagio, nei casi in cui questa informazione era disponibile all’indagine, il 52,5% degli operatori sanitari ha dichiarato di aver avuto un contatto in ambito familiare o in altro ambito mentre il 47,5% ha sostenuto di aver avuto un contatto stretto in ambito lavorativo.
La conoscenza del virus e l’abbassamento della curva
Ma perché un’incidenza così alta? Dal documento si rileva che all’inizio della pandemia si è registrata un’elevata diffusione di infezioni tra gli operatori sanitari, con percentuali molto più significative rispetto ai casi riscontrati nella popolazione generale. Solo dopo diverse settimane, spiegano gli autori della ricerca, sono state registrate percentuali di assestamento intorno al 3-4%. Un risultato dovuto al miglioramento delle conoscenze sul virus e sulla sua azione, all’aumentata capacità di testing e di disponibilità dei dispositivi di protezione individuale, nonché alla campagna vaccinale iniziata a fine dicembre 2020. In questo modo è stato possibile mitigare il rischio di esposizione al virus, favorendo tra gli operatori sanitari una riduzione della curva dei contagi.
Conclusioni
È vero, ci sono ancora numerosi punti oscuri sul Coronavirus: se e quanto gli asintomatici possono contagiare, perché in alcuni casi il virus non dà sintomi e mentre in altri arriva ad uccidere e quanto dura l’immunità data dagli anticorpi. Forse in futuro sapremo rispondere, o forse no. Ciò che è sicuro è che avere informazioni certe vale quanto un farmaco. E oggi ne abbiamo molte di più rispetto all’inizio.