Il virus ha ripreso forza ma non esistono solo i malati di Covid 19: tutti i pazienti che affrontano altre patologie hanno il diritto alla salute e alla prevenzione. Servono misure ad hoc per evitare di metterli in pericolo
Non esistono solo i pazienti Covid-19
E così ci si dimentica che i morti di cancro sono molti di più dei morti di Covid-19.
L’attenzione che ora si sta però concentrando in prevalenza sul Covid-19, rimette di nuovo in bilico un sistema che a fatica cercava di riprendersi.
Oggi sappiamo che i pazienti oncologici non corrono un maggior rischio di contrarre il virus rispetto agli altri; che la presenza del cancro non influenza la gravità e la prognosi di Covid-19 e che i pazienti oncologici che hanno contratto il virus e che sono morti, erano perlopiù pazienti anziani con tumori avanzati.
Ma il timore è che possano ripresentarsi le enormi difficoltà affrontate durante la pandemia, quelle legate cioè a una difficile gestione dei pazienti oncologici da tutti i punti di vista: dello screening, della diagnosi precoce, delle terapie e del follow-up.
Carenza del personale e riconversione dei reparti
Attualmente in Italia la situazione è la seguente: in quasi tutti gli ospedali si cerca di fare spazio ai pazienti Covid-19 riconvertendo reparti e spostando il personale prima dedicato ad altri pazienti.
“Gli screening effettuati nelle strutture sanitarie, per esempio attraverso la mammografia, impegnano le radiologie, ma se si hanno tutti i radiologi impegnati per il Covid-19 è inevitabile che in quel momento lo screening del cancro passi in secondo piano” spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana medicina generale e delle cure primarie (SIMG).
Le prime visite oncologiche si sono ridotte del 30%.
L’AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) stima poi un calo di 2.099 nuove diagnosi di tumore al seno e circa 4 mila adenomi avanzati del colon retto non diagnosticati.
Ma non sono solo numeri: non sottovalutiamo il fatto che arrivare tardi ad una diagnosi di tumore significa intaccare e compromettere la possibilità di guarigione.
Alla luce di questa situazione risulta quasi impossibile recuperare 3 milioni di visite cardiologiche saltate su 18 milioni previste, come aveva calcolato la Società italiana di Cardiologia.
E da maggio ad oggi altrettanto titanico sarebbe stato lo sforzo di effettuare 1,4 milioni di esami di screening saltati, stando al computo fatto dall’AIOM.
Garantire accesso alle cure
La preoccupazione che i pazienti non siano in grado di ricevere cure adeguate è evidente anche tra i cardiologi. “Durante la fase più acuta dell’epidemia – ricorda Francesco Romeo, a capo dell’unità di Cardiologia e Cardiologia Interventistica del Policlinico Tor Vergata di Roma – c’è stata una riduzione di più del 50% del numero degli infartuati che si presentavano al nostro Pronto Soccorso. Questo per noi è stato un indice molto negativo, tanto che a marzo abbiamo lanciato l’allarme. Abbiamo infatti osservato che molte persone, seppure in presenza di sintomi riconducili all’infarto, temporeggiavano pur di non andare in ospedale per paura del contagio. E purtroppo molte morti improvvise a casa sono state sicuramente dovute a questo ritardo nella presa in carico del paziente”.
Con la nuova riorganizzazione in atto il timore è dato dalla possibile chiusura di reparti di cardiologia, e che anche le terapie intensive vengano rimodulate come terapie intensive Covid-19. Questo potrebbe determinare una perdita di efficacia dell’attività medica cardiologica, sia per la gestione dei pazienti acuti sia la gestione di quelli in emergenza, con conseguenze devastanti.
Continua Romeo: “Noi trattiamo circa 200 mila sindromi coronariche acute l’anno. Se avessimo un aumento delle mortalità del 10%, vorrebbe dire che morirebbero 20 mila persone in più.
Conclusioni
Oggi, dopo il lockdown e la gestione dell’emergenza, la Sanità non solo deve offrire standard di terapia ottimali a tutti i pazienti e garantire il medesimo accesso alle cure, ma anche mantenere attive le campagne di screening, soprattutto sulla prevenzione dei tumori. Non possiamo infatti mettere a rischio i traguardi raggiunti: la riduzione dell’incidenza e della mortalità che abbiamo finora ottenuto.