4 milioni di italiani rinunciano alle cure mediche per motivi economici e circa 2 milioni per le lunghe liste d’attesa. Questo è l’allarme dell’Istat.
L’importante è la salute, si diceva una volta. Oggi non più: in tempi di crisi, infatti, gli italiani tagliano sulle cure mediche e sulla prevenzione.
Sono numeri preoccupanti, quelli forniti dall’Istat, soprattutto in un Paese che vanta un Servizio sanitario nazionale su base universalistica e solidaristica ma che, evidentemente, non riesce a garantire l’accesso alle cure a quote rilevanti di popolazione.
Secondo i suoi dati, gli italiani che risparmiano sul medico sono circa 6 milioni, compresi soprattutto nella fascia di età tra i 45 e i 64 anni. E le cause sono soprattutto due: circa 2 milioni di italiani rinunciano a visite o accertamenti specialistici per problemi di liste di attesa, mentre sono oltre 4 milioni le persone che rinunciano per motivi economici. Se si prendono in considerazione le cure odontoiatriche, notoriamente costose e quasi esclusivamente private, il numero è superiore: 4 milioni e 125mila. C’è quindi un mondo di persone, nel nostro Paese, per le quali la sanità è un peso economico. Talvolta insormontabile.
Disuguaglianze sociali ma anche territoriali
I dati evidenziano le crescenti disparità nelle opportunità di cura dei cittadini, con i cittadini meridionali ancora una volta più penalizzati.
Dallo studio dell’Osservatorio sul welfare delle famiglie italiane emergono differenze significative sui costi della spesa sanitaria: le famiglie del Nord infatti spendono ogni anno 1.356 euro, quelle del Centro 1.488 e quelle del Sud e delle Isole 1.212 euro.
Ovviamente la spesa, che si discosta di qualche centinaio di euro dal Meridione al Centro, pesa in maniera diversa sui redditi familiari che al Sud sono mediamente più bassi. Ma non solo. La fuga dalla Sanità pubblica è dovuta anche alle lunghe attese che devono affrontare i pazienti per avere un appuntamento: chi è esente perché povero, infatti, se si trova di fronte tempi biblici per ottenere una risonanza o una visita cardiologica e non può permettersi di anticipare la prestazione in intramoenia (una visita costa anche 150 euro), finisce per non farsi controllare.
Liste d’attesa, sempre loro
Nel pubblico per una mammografia si attendono in media 122 giorni e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni, ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni, ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni, ma l’attesa sale a 79 giorni al Centro.
Se a dichiararsi soddisfatto del Servizio sanitario pubblico è circa l’80% dei cittadini del Nord-Est si scende al 47% tra i residenti al Sud. Ed è nel Meridione la percentuale più alta di cittadini convinti che nell’ultimo anno il Servizio sanitario sia peggiorato nella propria regione, circa il 40% rispetto al 25% dei cittadini del Nord.
Cosa fare?
Certo gli studi sulle rinunce alle cure vanno valutati con attenzione. Spesso, anche nel caso dell’Istat, viene chiesto agli intervistati se nell’ultimo anno hanno rinunciato a una o più prestazioni sanitarie. Di fronte a una risposta affermativa però non siamo in grado di capire né l’appropriatezza né l’urgenza di quell’esame mancato e soprattutto quali sono le conseguenze negative dell’averlo ritardato o saltato. Poteva anche essere un accertamento inutile.
In ogni caso, volendo immaginare delle soluzioni, un suggerimento ci viene dalla Francia, che oltre a una struttura sanitaria “di base” ne possiede anche una “complementare”.
Potremmo quindi immaginarci anche per il nostro Paese una sorta di network di medici, operatori sanitari, farmacisti e mutue, che si propongono di affiancare il Ssn in chiave sussidiaria. Non semplici erogatori di prestazioni, ma corresponsabili nella gestione dei servizi di fronte ai cittadini. Un servizio che potrebbe diventare davvero prezioso per ridurre le disuguaglianze e contrastare la privatizzazione strisciante del Ssn.