Continua il nostro racconto sulla carenza di personale sanitario in Italia. Nel rapporto di Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari Regionali), emerge che il numero degli infermieri è insufficiente così come quello di medici di base.
Fra le sfide che il nuovo governo dovrà affrontare, c’è sicuramente quella della definitiva realizzazione della nuova sanità territoriale e di prossimità disegnata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un obiettivo che non può essere mancato ma neppure rimandato.
Le più recenti stime dell’Istat segnalano infatti che nel 2050 più di un italiano su tre sarà over 65. Fra la popolazione con più di 65 anni, la percentuale di persone che soffrono di malattie croniche o assumono regolarmente farmaci è già superiore al 70% (rispettivamente 74,6% e 74,1% nel 2021 considerando la sola fascia di età 65-74 anni). Il tema della nuova sanità territoriale si incrocia quindi con una delle questioni irrisolte del Servizio Sanitario Nazionale: l’effettiva disponibilità di personale. Basteranno medici ed infermieri a garantire l’assistenza necessaria?
Attualmente nel nostro paese mancano infermieri e medici di base. È questo è il dato che emerge dal nuovo rapporto di Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari Regionali) basato sulla valutazione del personale del Servizio sanitario nazionale. Dal confronto con gli altri paesi dell’Unione Europea emerge che il numero degli infermieri è insufficiente così come quello dei medici di base. Quest’ultimi, inoltre, non sarebbero distribuiti in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale.
Come abbiamo già visto, il blocco delle assunzioni e del turn over, unito a un contenimento della spesa per i professionisti sanitari, ha determinato l’innalzamento dell’età media del personale e il conseguente fenomeno della “gobba pensionistica” e cioè il disallineamento tra il numero delle pensioni rispetto a quello dei soggetti attivi. Questo fenomeno sembra essere più minaccioso proprio per questi profili professionali già carenti. Ma veniamo ai numeri.
In Italia 6,2 infermieri per 1.000 abitanti contro una media UE di 8,8
In rapporto alla popolazione e al resto dell’Europa, in Italia nel 2020 operavano 6,2 infermieri per 1.000 abitanti, contro i 18 di Svizzera e Norvegia, gli 11 della Francia, i 13 della Germania e gli 8,2 del Regno Unito. In molti paesi le preoccupazioni per le crescenti carenze degli infermieri hanno indotto azioni per aumentare la formazione di nuovi infermieri. Invece l’Italia è al quart’ultimo posto tra i paesi OCSE per il numero di posti a disposizione negli atenei per la laurea in Infermieristica. Hanno un numero di posti più basso solo Messico, Colombia e Lussemburgo. In quest’ultima nazione però il numero di infermieri per mille abitanti è già circa il doppio di quelli italiani.
Non solo infermieri: anche i medici di base scarseggiano
Anche guardando alle specializzazioni mediche emergono alcune importanti criticità. In particolare, la percentuale di medici di medicina generale, sebbene rapportata alla popolazione sia apparentemente sufficiente, è inferiore di tre punti percentuali alla media europea (18% a fronte del 21%, con il Portogallo in testa al 46% e la Grecia fanalino di coda con appena il 6% di medici di base). Inoltre, segnala ancora l’Agenas, i medici di medicina generale non sono omogeneamente distribuiti sul territorio e molto scarsi nelle aree a bassa densità abitativa o caratterizzate da condizioni disagiate come il Sud Italia. Dal 2019 al 2021, il loro numero si è ridotto di 2.178 unità.
Ma quanti infermieri e medici di base andranno in pensione?
Nei prossimi 5 anni, degli oltre 264mila infermieri di oggi, matureranno i requisiti per la pensione in 21 mila, mentre 13.200 mancano per coprire i buchi di organico. Al 2027 completeranno la formazione in 61.760. Per quella data dovremmo quindi farcela a coprire anche la richiesta necessaria per fare funzionare ospedali e case di comunità. La stessa situazione riguarda i medici di base: dei 40.250 oggi in servizio, tra il 2022 e il 2027 ne andranno in pensione 11.261, e saranno disponibili, a legislazione costante, 13.895 posti per la formazione.
Ma ancora una volta sono solo conti sulla carta. Basta guardare cosa succede in Lombardia: nel febbraio 2022 al corso di formazione per diventare dottori di famiglia sono messi a disposizione 626 posti, al test si presentano in 502, accettano in 379, e i frequentanti oggi sono 331, cioè la metà. D’altronde, finché la borsa di studio dei neolaureati che si iscrivono al corso di formazione triennale è di 11 mila euro l’anno contro i 26 mila di chi sceglie il corso di specializzazione, è evidente che la professione del medico di famiglia è considerata di serie B.
Conclusioni
E quindi cosa fare? Secondo il report, considerando che i medici di medicina generale e gli infermieri sono gli assi portanti di qualsiasi operazione di potenziamento delle attività sanitarie di prossimità, un’offerta formativa ampliata non basta. Occorre anche “un sistema di incentivi in grado di rendere attrattive tali figure professionali in termini di riconoscimento sociale oltre che economico”. Staremo a vedere.