Il lockdown ha reso più che mai evidenti alcuni problemi delle nostre abitazioni: insalubrità, dimensioni ridotte, assenza di spazi esterni.
Ma il luogo in cui si vive ha un ruolo determinante per il nostro livello di salute e benessere, soprattutto per gli anziani.
L’esplosione dell’epidemia da Covid-19 e il conseguente decreto “Io resto a casa”, attuato per limitare il più possibile la diffusione del virus, ha reso ancor più evidente la situazione in cui versano molte delle abitazioni degli italiani: insalubri, di dimensioni ridotte (tali da non consentire, ad esempio, ai bambini di frequentare la didattica a distanza e contemporaneamente ai genitori di lavorare in smart working), senza spazi all’aperto, sovraffollate o addirittura abusive.
In tanti casi proprio le case sono divenute luogo di contagio a causa dell’impossibilità di rispettare le precauzionali forme di distanziamento, a dimostrazione della relazione tra casa e rischio coronavirus di cui molto si è parlato nei mesi scorsi.
L’abitare è un fattore che influenza profondamente il nostro stile di vita e anche la nostra salute, tanto rispetto alle nostre condizioni attuali, quanto guardando alle prospettive future. La qualità delle nostre case e dell’ambiente che le circonda comporta anche grandi ricadute in termini di collettività.
Già nel 2017, il 10% delle famiglie europee spendeva più del 40% del proprio reddito in spese abitative, percentuale pari al 38% per i nuclei a rischio povertà. Un’incapacità, quella di trovare una casa accessibile, che non colpisce solo le persone più povere ma anche i giovani che si trasferiscono nelle grandi città per motivi di lavoro. C’è invece chi una casa ce l’ha ma non è adatta, o almeno non lo è più: e parliamo in questo caso degli anziani.
Gli anziani: abitazioni e salute
Gli anziani sono certamente la categoria più vulnerabile in relazione “all’abitare”.
L’esplosione dell’epidemia ha dimostrato i limiti delle soluzioni abitative e residenziali rivolte agli anziani. Gli ospiti delle RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) si sono ritrovati al centro di focolai e impossibilitati a incontrare i propri familiari. Ma anche chi è rimasto a casa propria ha dovuto affrontare problemi come l’isolamento, la solitudine, la difficoltà a reperire generi alimentari, a ricevere cure e assistenza. Spesso, inoltre, le abitazioni si sono dimostrate troppo grandi e vecchie per essere adeguatamente riscaldate, con conseguenze negative sulla salute.
Questa un’ulteriore conferma di come il luogo in cui si vive sia una variabile determinante per il proprio livello di salute e il proprio benessere personale, emotivo, economico e sociale.
E quindi cosa fare?
Adeguare le abitazioni a tutta la popolazione
Ad oggi il 70-80% delle case in Europa non è adatto per la vita degli anziani.
Anche se continuano a sorgere di anno in anno nuove costruzioni, di queste solo per l’1% del totale costituisce una soluzione “idonea” per le loro condizioni e stili di vita.
Nel 2017, circa la metà degli over 65 europei viveva in un alloggio sotto-occupato, cioè più grande rispetto alle proprie necessità, con un impatto negativo sul rischio di povertà energetica (chi vive in una casa grande potrebbe non riuscire a permettersi di riscaldarla adeguatamente) e ovviamente sulla salute. I bisogni degli anziani riguardo le soluzioni abitative comprendono fattori relazionali, salute, efficienza energetica, mobilità ma anche digitalizzazione ecc.
Con ciò non si vuole sostenere che si debbano realizzare case o alloggi per soli anziani: anzi la sperimentazione di nuove proposte abitative deve volgersi non tanto alla differenziazione dell’organismo abitativo nel suo complesso, ma alla soluzione differenziata di parti di esso in relazione alle esigenze che di volta in volta si debbono soddisfare.
Si tratta piuttosto di progettare e realizzare la casa per tutti, non come gamma di interventi “speciali” per utenti “speciali”, ma come complesso di interventi integrati e flessibili in relazione a tutte le diverse esigenze.
L’obiettivo è quello di progettare e realizzare case e servizi per tutti superando la segregazione sociale e le discriminazioni d’uso, facendo sì che le esigenze abitative diverse fra loro siano soddisfatte con modalità e tempi politicamente accettabili, stabilendo delle priorità di intervento.
Mettere al centro i servizi
Per questo è importante offrire soluzioni che possano integrare la casa ai servizi.
Occorre promuove un’offerta abitativa che integri appunto all’offerta di un alloggio anche ulteriori servizi al livello micro-territoriale e domiciliare. A questo scopo è importante favorire la collaborazione tra edilizia e servizi sociali e di cura: un approccio che parte dal presupposto che l’autonomia non dipende solo dalle condizioni personali di salute fisica e mentale, ma anche dall’ambiente circostante.
Quali prospettive
Oggi, fortemente influenzati dall’impatto del Covid-19, dobbiamo realizzare un nuovo modello di “casa”, orientato al potenziamento della cura e del benessere della persona e della sua famiglia.
In tal senso occorrerà non solo ripensare i luoghi, ma anche formare una forza lavoro sempre più qualificata, che comprenda figure “tradizionali”, come assistenti sociali, infermieri, mediatori culturali ma anche nuovi profili che permettano di affrontare i cambiamenti in atto, esperti di nuove tecnologie e in grado di offrire supporto a distanza.