La seconda ondata dell’epidemia ha avuto un impatto più intenso sui contagi professionali.
È quanto emerge dal report dell’INAIL di dicembre, con un aumento di oltre 26mila casi rispetto a novembre.
I contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati all’INAIL alla data dello scorso 31 dicembre sono 131.090. A rilevarlo è il 12esimo report nazionale sulle infezioni di origine professionale da nuovo Coronavirus, da cui emerge un incremento di 26.762 casi (+25,7%) rispetto al monitoraggio precedente al 30 novembre, di cui 16.991 riferiti a dicembre, 7.901 a novembre e altri 1.599 a ottobre, complice la seconda ondata dell’epidemia, che ha avuto un impatto più intenso della prima anche in ambito lavorativo.
A novembre spetta il record negativo di casi
Oltre 75mila denunce, pari al 57,6% del totale, sono concentrate nel trimestre ottobre-dicembre contro le circa 50mila (38,5%) del trimestre marzo-maggio.
Spetta a novembre, con quasi 36mila denunce, il titolo del mese del 2020 col il maggior numero di casi segnalati all’Istituto. Nei mesi estivi tra la prima e la seconda ondata si era invece registrato un ridimensionamento del fenomeno, con giugno, luglio e agosto al di sotto dei mille casi mensili, anche in considerazione delle ferie per molte categorie di lavoratori, e una leggera risalita a settembre (poco più di 1.800 casi), che lasciava prevedere la ripresa dei contagi dei mesi successivi.
L’identikit dei lavoratori contagiati
La maggioranza dei lavoratori contagiati sono donne (69,4%), con un’età media dall’inizio dell’epidemia di 46 anni per entrambi i sessi. Il 42,5% delle denunce riguarda la classe 50-64 anni, seguita dalle fasce 35-49 anni (36,8%), 18-34 anni (18,8%) e over 64 anni (1,9%).
I decessi, invece, sono concentrati soprattutto tra gli uomini (84,2%) e nella fascia 50-64 anni, con il 71,6% del totale dei casi. Seguono le fasce over 64 anni (18,6%) e 35-49 anni (8,7%), con un’età media dei deceduti di 59 anni. L’85,6% dei contagi denunciati riguarda lavoratori italiani.
Particolarmente vessati gli infermieri
Il settore della sanità e di assistenza sociale è stato quello maggiormente coinvolto nella pandemia: ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili, con il 68,8% delle denunce e un quarto (25,2%) dei decessi codificati precede l’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità.
Gli altri settori più colpiti sono i servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (tra cui gli addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione, il commercio, il trasporto e magazzinaggio, le attività professionali, scientifiche e tecniche (consulenti del lavoro, della logistica aziendale, di direzione aziendale) e altre attività di servizi (pompe funebri, lavanderia, riparazione di computer e di beni alla persona, parrucchieri, centri benessere, ecc.).
Più colpiti gli infermieri
La categoria professionale più colpita è quella dei tecnici della salute con il 38,7% delle denunce (in tre casi su quattro sono donne): l’82,2% delle quali relative a infermieri. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 19,2% delle denunce (l’80,9% sono donne), i medici con il 9,2% (il 48,0% sono donne), gli operatori socio-assistenziali con il 7,4% (l’85,1% donne) e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,7% (tre su quattro sono donne).
L’incidenza del fenomeno nelle varie fasi della pandemia
Analizzando i dati si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di contagio per le professioni sanitarie tra le prime due fasi dell’epidemia e una risalita nella terza.
I medici per esempio, sono scesi dal 10,1% nella fase di “lockdown” (fino a maggio compreso) al 5,4% in quella “post lockdown” (da giugno a settembre), per poi registrare l’8,8% nella seconda ondata dei contagi tra ottobre e dicembre.
Attenzione: il contagio sul luogo di lavoro non è sempre facile da dimostrare in contesti non sanitari. Questi sono i dati sulle denunce. Per quantificare il fenomeno, comprensivo anche dei casi accertati positivamente dall’INAIL, sarà comunque necessario attendere il consolidamento dei dati, con la conclusione dell’iter amministrativo e sanitario relativo a ogni denuncia.