Non solo una serie di informazioni, il consenso informato deve implicare anche un dialogo tra medico e paziente.
L’espressione “consenso informato” è purtroppo la pigra traduzione dall’inglese “informed consent” e non è certo felice. Quell’anteporre in italiano il consenso all’informazione è del tutto illogica, però ormai questa accezione è divenuta parte integrante della consuetudine delle strutture sanitarie. Ma vediamo brevemente cos’è il consenso informato e soprattutto cosa gli manca.
Di cosa si tratta?
È il consenso del paziente a subire un trattamento terapeutico, ed è al contempo il presupposto di legittimità dell’azione del medico. Il consenso deve essere libero, consapevole e informato e può essere revocato in qualunque momento. In caso di intervento senza consenso, il medico (a prescindere dall’esito dell’intervento) può andare incontro a richieste di risarcimento del danno e, in determinati casi, anche a responsabilità penale.
Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
Stabilire una relazione
Oggi il consenso informato viene considerato come una serie di informazioni che il medico trasferisce al paziente; paziente che dal canto suo, pur volendo conoscere tutte le implicazioni della sua malattia, spesso non possiede gli strumenti idonei per capirne il significato.
Il consenso informato, infatti, troppo spesso è ridotto a un elenco di eventi avversi da sottoporre al paziente perché sia informato sui possibili effetti collaterali dell’eventuale intervento terapeutico, pertanto è importante che il modulo informativo citi anche la più imprevedibile e remota possibilità legata al trattamento medico-chirurgico, in modo che non si scopra che proprio quello che si dovesse avverare non era stato citato.
Riversare però sul paziente tutta una serie di informazioni tecniche non può costituire un vero consenso informato. Il consenso va costruito all’interno di una relazione medico paziente, di un dialogo e di un confronto che più che scientifico e dev’essere esistenziale ed emozionale.
È necessario calarsi nel vissuto e nelle difficoltà che il paziente teme di incontrare nel post operatorio. È necessario avere tempo da dedicare ed empatia professionale.
Il medico deve tener conto che i pazienti ricevono queste informazioni in uno stato emotivo particolare, non certo ideale per immagazzinare nozioni di grande importanza. Inoltre, i pazienti sono tutti diversi e una spiegazione può risultare chiara a qualcuno ma oscura a tanti altri.
Con-senso non significa quindi istruire un malato sul trattamento necessario a cui sarà sottoposto, ma al contrario significa costruire con lui delle scelte circa le sue diverse necessità.
Cosa si può fare?
In una società che cambia costruire un buon consenso informato, che non sia solo mera formalità, significa saper mediare tra le conoscenze scientifiche e le nuove istanze sociali, significa impegnarsi a conoscere il contesto in cui si opera per potersi calare nelle situazioni di vita, significa avere il tempo e lo spazio per costruire una vera e propria relazione.
I medici devono recuperare fiducia verso i loro pazienti impegnandosi nel cercare e trovare tempo da dedicare all’ascolto e alla comunicazione perché, come è scritto nel Codice deontologico, “il tempo di comunicazione è tempo di cura”.
Forse è molto impegnativo, ma non si può continuare ad essere medici allo stesso modo se cambia la società in cui si vive.