In Italia ogni anno si registrano circa 1.200 aggressioni ai danni del personale sanitario, una media di 3 aggressioni al giorno, che nel 70% dei casi, vedono vittima una donna.
Questi gli sconcertanti dati riportati dall’INAIL nel 2018, episodi di violenza che vanno dalle percosse fino ai tentativi di stupro. Tanti i casi recenti passati alla cronaca: a Napoli una dottoressa del 118 è stata aggredita dai parenti di una coppia che stava soccorrendo; a Roma, un uomo in preda all’ira, padre di un ricoverato, ha aggredito la dottoressa di turno minacciandola di morte; in provincia di Bari, un intero equipaggio del 118 è stato tenuto sotto scacco da un paziente armato di katana, riuscendo a sfuggire per miracolo alla sua furia.
Per scongiurare le aggressioni, A Portogruaro e Jesolo sono stati distribuiti 200 fischietti al personale sanitario per un periodo sperimentale di sei mesi. Si tratta del progetto “Veneto Orientale” adottato dalle Ulss4 dopo che, nel 2017, sono raddoppiate le aggressioni rispetto al 2016, 45 contro 23.
“Il fischietto – spiega la dott.ssa Carolina Prevaldi, coordinatrice del progetto – verrà utilizzato dall’operatore in caso di pericolo per richiamare l’attenzione dei colleghi o di altre persone che possono così accorrere in aiuto”. In ambienti maggiormente critici il fischietto potrà anche essere appeso al collo mediante un laccetto personalizzato con sgancio rapido di sicurezza.
Ma cerchiamo di comprendere meglio il fenomeno.
Perché colpire chi si occupa della nostra salute? Perché aggredire, arrivando spesso alle estreme conseguenze, proprio chi ha il compito di salvarci la vita?
Dalle testimonianze di chi ha usato violenza contro il personale sanitario emerge che a scatenare l’ira sono soprattutto i disservizi: liste d’attesa in testa, seguite dalla carenza di personale e dalle lunghe attese in pronto soccorso, che esasperano pazienti e familiari in un momento già di per sé delicato. Ma può un medico farsi carico di un’organizzazione che non dipende da lui? Ovviamente no.
Come Associazione siamo dalla parte delle vittime di episodi di malasanità e ogni giorno mettiamo tutto il nostro impegno affinché chi ha subito un danno in ambito sanitario possa ottenere il giusto risarcimento. Ma siamo prima di tutto dalla parte del giusto. Solo quando emerge la diretta responsabilità del personale medico possiamo procedere con azioni legali risarcitorie, solo quando le azioni compiute o mancate sono causa di un errore possiamo far sentire la nostra voce insieme a quella dei nostri assistiti. E anche quando ci troviamo di fronte alla rabbia legittima di chi ha subito un grave danno, il nostro compito è quello di aiutare a trasformare quel sentimento in desiderio di giustizia, che rappresenta un’arma molto più potente rispetto della violenza.
Per arrestare questo fenomeno in preoccupante crescita, dovremmo ricordarci di essere tutti dalla stessa parte: medici, cittadini e anche chi come noi si occupa di malasanità. Non gli uni contro gli altri, ma tutti “dalla parte della vita”.
I medici lavorando con impegno per tutelare la salute dei loro pazienti, i cittadini riponendo fiducia nel loro operato e noi agendo solo quando questa fiducia viene tradita, con tutti gli accertamenti che il nostro lavoro richiede. Essere dalla parte della vita è l’unica strada percorribile, la violenza non porta mai a nulla, solo ad altra violenza.