Linea dura della Cassazione: non è importante che il paziente fosse già assistito dagli infermieri del reparto, il medico doveva comunque procedere alla visita in tempi brevi.
Integra il reato di rifiuto di atti di ufficio (articolo 328, comma 1, del codice penale) la condotta del medico che, richiesto di prestare il proprio intervento in relazione all’aggravarsi delle condizioni di salute di un paziente, ometta di procedere alla visita ed alla diretta valutazione della situazione rilevando che il paziente sia comunque assistito da personale incaricato di monitorarne le condizioni fisiche e i parametri vitali.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 23406 del 2022 che ha confermato la pronuncia con la quale la Corte di appello di Catanzaro aveva condannato un medico del Reparto di Medicina dell’Ospedale di Cariati al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili relative al procedimento penale a cui il medico era stato sottoposto, per essersi rifiutato di visitare un paziente oncologico affetto da versamento pleurico.
Ma veniamo ai fatti.
Il fatto
L’imputato, medico in guardia al reparto del reparto di “Divisione medicina” del nosocomio di Cariati, ha rifiutato indebitamente un atto del suo ufficio (articolo 328, comma 1 del codice penale) che, per ragioni sanitarie doveva essere compiuto senza ritardo omettendo di visitare e di prestare le necessarie cure ad un paziente oncologico, ricoverato presso il reparto per un versamento pleurico, a seguito di accesso al Pronto Soccorso per difficoltà respiratorie con l’assegnazione al triage di codice giallo (condizioni di emergenza). Secondo quanto è stato riportato dall’accusa, il sanitario faceva accesso al reparto dopo circa cinquantacinque minuti dall’inizio del suo turno pomeridiano.
Immediatamente il medico esprimeva disappunto per il sollecito ricevuto, riferendo ad alta voce le seguenti considerazioni, anche alla presenza dei familiari del paziente: “Mi avete rotto i coglioni per uno per cui non c’è niente da fare, che ha un versamento che fa pietà”. Ma non basta. Rivolgendosi al figlio del paziente, che ne aveva sollecitato la visita e lo aveva invitato a moderare il tono di voce perché il paziente non ascoltasse i suoi commenti, così si esprimeva “Chi cazzo sei tu per insegnarmi come mi devo comportare? Sai che ti dico? Io tuo padre non lo visito proprio”.
La sentenza della Cassazione
Il medico aveva sostenuto di non aver commesso il reato di rifiuto di atto di ufficio perché dal referto del pronto soccorso aveva tratto il convincimento che “non vi era nulla da fare, trattandosi di paziente oncologico terminale con un versamento molto rilevante, cioè di un soggetto per il quale ogni trattamento avrebbe rappresentato un grave ed inutile stress” e che tale valutazione non sarebbe stata sindacabile dal giudice, pena lo “sconfinamento” di quest’ultimo nella “sfera della discrezionalità tecnica del pubblico ufficiale”.
Tesi però che non ha colto nel segno. La Cassazione ha rilevato che i giudici avevano accertato che le condizioni del paziente erano critiche e sussisteva un preciso obbligo del medico di procedere immediatamente alla visita, che si era obiettivamente al di fuori dell’ambito della discrezionalità tecnica del medico, in quanto il paziente era stato solo visitato dal pronto soccorso e necessitava dell’accurata visita del medico per stabilire le cure necessarie, e che il medico si era rifiutato di effettuare la visita nonostante le plurime sollecitazioni del figlio del paziente.
Motivo per il quale il Supremo Collegio ha confermato il reato di rifiuto di atti di ufficio.
Questo è un reato di pericolo che ricorre ogni qual volta venga negato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento, prescindendo dal concreto esito della omissione e dalla circostanza che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva.