Un intervento chirurgico a cui non è seguita alcuna terapia antibiotica e poi un aggravamento non diagnosticato con tempestività. Vi raccontiamo il calvario di Giuseppe, operato ben 4 volte per una semplice caduta.
Il caso
Il signor Giuseppe è un 58enne sposato e molto attivo. Un giorno, in seguito ad una caduta accidentale, viene portato dalla moglie al pronto soccorso dove gli viene diagnosticata una frattura scomposta del metacarpo della mano sinistra, più una frattura pluriframmentaria dell’omero del braccio destro.
I medici decidono di sottoporlo a un intervento chirurgico di osteosintesi con placca e viti, ovvero una procedura chirurgica avente il fine di riportare i frammenti di frattura dell’omero nella posizione corretta. Sarà per Giuseppe solo il primo intervento di una lunga serie.
L’operazione viene eseguita e, dopo soli due giorni, Giuseppe viene dimesso dalla struttura ospedaliera senza alcuna prescrizione antibiotica.
Così torna a casa, sereno e positivo nell’affrontare la convalescenza e pronto a recuperare le energie per ripartire come prima. Ma a distanza di tre settimane, Giuseppe ha forti dolori al braccio e dalla cicatrice operatoria fuoriesce una preoccupante secrezione purulenta.
Così di nuovo, insieme alla moglie, si reca immediatamente in ospedale dove, da un primo esame, si registrano valori preoccupanti tali da richiedere ulteriori controlli, i quali una volta eseguiti evidenziano un gravissimo processo osteomielitico, ovvero una profonda infezione osteoarticolare.
Giuseppe viene quindi sottoposto alla rimozione delle placche inserite durante il primo intervento (vengono lasciate solo le viti intraossee) ma un tampone intra-operatorio evidenzia la presenza di stafilococco. Sottoposto a cure antibiotiche, viene eseguita a distanza di 8 settimane una prima scintigrafia, in cui risulta la permanenza della infezione.
Così Giuseppe viene operato per la terza volta, in questo caso, per la rimozione delle viti intraossee. A distanza di un mese, Giuseppe esausto, viene sottoposto a una seconda scintigrafia che spera risolutiva, ma che invece evidenzia ancora la presenza dell’infezione.
Per Giuseppe è il quarto intervento.
Lui e la sua famiglia sono stanchi, addolorati e soprattutto increduli. I medici spiegano che dovranno bonificare la zona infetta (omero, radio e ulna) fino ad un ultimo definitivo intervento di arto trapianto osseo.
Il danno subito
Ma cos’è che non ha funzionato in tutta questa vicenda? Una semplice caduta può comportare tutto questo calvario? Certo che no.
Se fosse stata prescritta una cura antibiotica dopo l’operazione, sempre raccomandabile negli interventi di protesi, l’infezione con ogni probabilità non si sarebbe verificata. Inoltre, una volta accorso in ospedale con una ferita chiaramente riferibile ad un passaggio di batteri, gli esami dovevano essere fin da subito specifici in modo da raggiungere una diagnosi e permettere un intervento tempestivo, che avrebbe evitato a Giuseppe una lunga e prevenibile sofferenza.
Oggi questa vicenda lascia a Giuseppe degli importanti esiti invalidanti, che lo hanno segnato nel corpo e nella mente.
Il risarcimento
Al termine dell’azione giudiziale il Tribunale ha condannato l’azienda ospedaliera al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali quantificati nella misura di euro 200.375,00.