Ad oggi i medici di famiglia sono liberi professionisti ma, per ottenere i fondi stanziati dal Recovery Fund, dovrebbero “trasformarsi” in dipendenti. Come la stanno prendendo? Vediamolo insieme.
Partiamo dal principio. Il Covid, oltre a quanto già tristemente sappiamo, ha avuto anche la colpa di aver portato a galla tutte le falle del sistema sanitario, e la più grande di tutte l’hanno pagata i cittadini sulla loro pelle: l’assistenza medica sul territorio.
Nelle settimane più difficili della pandemia, 1 contagiato su tre, spaventato e abbandonato a casa propria, è andato a intasare i Pronto Soccorso e a occupare posti letto, anche se avrebbe potuto essere curato a domicilio.
Lo smantellamento dell’assistenza sul territorio da anni costringe ad andare al Pronto soccorso per qualunque cosa, aumenta i ricoveri impropri soprattutto per diabete, malattie polmonari e ipertensione, mentre chi soffre di malattie croniche si aggrava. Insomma, un potenziamento della medicina territoriale è urgente.
Recovery fund e medici di base
Il Recovery Fund ha messo a disposizione 7 miliardi di euro da spendere in 5 anni per cambiare il modello di Sanità. Uno dei pilastri su cui si fonda sono le Case di comunità.
Queste riuniranno in un’unica struttura di quartiere, i medici di famiglia, gli specialisti, infermieri e assistenti sociali. La struttura, attrezzata di punto prelievi, macchinari diagnostici per gli esami e le infrastrutture informatiche del caso, insieme al team multidisciplinare, dovrà offrire assistenza dalle 8 alle 20. Il servizio notturno sarà garantito dalla presenza della guardia medica.
E qui veniamo al tema dei medici di base e della questione relativa alle assunzioni.
Diventare dipendenti
Ebbene sì. I medici di famiglia sono liberi professionisti convenzionati, ciò vuol dire che il loro lavoro è disciplinato da accordi collettivi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali e dalla Conferenza Stato-Regioni.
L’accordo attualmente in vigore prevede che lo studio debba essere aperto cinque giorni a settimana e il numero di ore dipende dal numero di assistiti: va dalle 5 ore settimanali fino a 500 pazienti, alle 15 ore per 1.500 assistiti, numero massimo consentito.
Come condizione per avere accesso ai fondi del Recovery, l’Europa ci chiede di rivedere le loro regole d’ingaggio, perché l’intero progetto rischia di non vedere luce senza il coinvolgimento del medico all’interno delle Case della Comunità.
Ma cosa dicono loro?
Questa revisione degli incarichi è stata una vera e propria bomba per i medici di famiglia. Alcuni gridano alla “fine della libertà di scelta del cittadino”. Altri fanno notare come la Regione dovrà fornire idonei locali e personale necessario (infermieri e amministrativi) e non solo un modesto e parziale rimborso come avviene attualmente; dovrà inoltre garantire le turnazioni dei medici, quindi quanto meno un raddoppio degli stessi, cosa impossibile in quanto si fatica già a coprire gli organici attuali. Insomma, una grande alzata di scudi.
Conclusioni
Avere sul territorio delle strutture organizzate dove viene garantita la presenza del medico di base e di alcuni specialisti, dalle 8 alle 20, con guardia medica e con le strumentazioni necessarie a garantire assistenza di primo livello, a noi sembra un’ottima soluzione.
Maliziosamente si potrebbe pensare che i medici non vogliano perdere la loro condizione attuale, forse meno gravosa rispetto all’impegno richiesto all’interno delle Case di comunità. Ma è anche giusto che ogni Regione faccia la sua parte e non lasci tutto l’onere ai medici, altrimenti sarà il caos.
Ma non siamo qui per stabilire chi abbia torto o ragione. Vogliamo solo continuare nel dibattito, che ancora è piuttosto acceso.