La Cassazione ha affermato come non può essere escluso il diritto al risarcimento a un parente della persona scomparsa anche se non convivente. L’importante è dimostrare il profondo legame affettivo.
La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei nipoti di una signora deceduta a causa di un incidente automobilistico durante una passeggiata sul corso di Velletri. Già da qualche tempo, alcuni orientamenti giurisprudenziali si erano dimostrati propensi ad allargare la possibilità di risarcire il danno parentale anche ai non conviventi. Ma veniamo alla vicenda.
Il caso
A Velletri, tre nipoti avevano citato in giudizio il conducente, il proprietario nonché la compagnia di assicurazione del veicolo che aveva investito la loro zia mentre attraversava la strada a piedi, causandone la morte, e ne avevano chiesto la condanna al risarcimento dei danni per “lesione del rapporto parentale con la vittima”.
I giudici tuttavia avevano respinto la richiesta ritenendo che la responsabilità dell’accaduto fosse esclusivamente della donna. La decisione era stata confermata anche dalla Corte d’Appello di Roma, la quale tuttavia aveva motivato il rifiuto per mancanza di legittimazione dei nipoti a pretendere il risarcimento del danno per la morte della loro zia, poiché non conviveva con loro.
I tre nipoti hanno quindi chiesto il ricorso in Cassazione lamentando come il dato esterno e oggettivo della convivenza non costituisca un elemento idoneo ad escludere a priori il diritto del non convivente al risarcimento. E con l’ordinanza numero 8218, il ricorso è stato accolto.
Non convivere non vuol dire non volersi bene
È bene precisare che, se da un lato occorre certamente evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari, dall’altro la convivenza non può tuttavia costituire un elemento discriminante. Qualora questa venisse a mancare, viene infatti data la possibilità di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.
Infatti, esistono convivenze non fondate su vincoli affettivi ma determinate soltanto da mere necessità economiche, egoismi o altre situazioni che nulla c’entrano il volersi bene. Allo stesso tempo, esistono e non convivenze determinate da esigenze di studio o di lavoro ad esempio, ma che non implicano, di per, sé, una carenza di intensi rapporti affettivi o di reciproca solidarietà.
Conclusioni
La convivenza, quindi, non può essere considerata come “misuratore” dell’intimità dei rapporti parentali; può costituire un elemento utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo ma non l’unico elemento.
Insomma, anche i parenti non conviventi, hanno diritto ad essere risarciti, ma solo se provano, in concreto, di aver sofferto per l’improvvisa perdita di una persona di famiglia alla quale erano affettivamente molto legati e con cui condividevano momenti importanti di vita.