Difficoltà di accesso alle cure: 1 italiano su 10 rinuncia

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Nel 2020, 1 italiano su 10 ha dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie necessarie a causa delle difficoltà di accesso ai servizi dovuto alla pandemia da Covid-19

 

Dall’inizio della pandemia ad oggi, per far fronte all’enorme ondata di pazienti affetti da Covid-19, molti servizi sanitari sono stati ridimensionati, riorganizzati o addirittura sospesi. Nello stesso tempo, per il timore di contrarre l’infezione o per le restrizioni della mobilità individuale dovute ai decreti, tantissime persone hanno evitato o ritardato l’accesso alle cure di cui avevano bisogno.

Questo è quanto emerge dall’ottavo Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) curato dall’Istat. Nel 2020, infatti, un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato a ricevere prestazioni sanitarie per difficoltà di accesso, pur avendone bisogno e, oltre il 50% di chi rinuncia riferisce motivazioni legate alla pandemia da Covid-19.

Tutto ciò non è senza conseguenze per la salute delle persone. Le segnalazioni di disagi, sofferenze ed eventi avversi attribuibili ai ritardi, agli ostacoli e ai differimenti di prestazioni essenziali sono sempre più numerose e riguardano diversi settori sanitari, quali ad esempio: i servizi per le vaccinazioni, gli screening oncologici, i servizi di salute mentale, gli interventi di chirurgia elettiva come la protesi d’anca o la cataratta. In questo lungo elenco particolarmente critici sono considerati l’ambito cardiovascolare e quello oncologico. 

 

Difficoltà di accesso: cosa è accaduto in Italia

Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari si è registrata una riduzione dei ricoveri per infarto del miocardio pari al 48,4%. La riduzione ha riguardato soprattutto gli infarti meno gravi (65,4%) rispetto a quelli più gravi (26,5%) per i quali la mortalità è passata dal 4,1 al 13,7%. Si è registrato inoltre un aumento consistente del tempo trascorso tra l’insorgenza dei sintomi e l’intervento. Dati allarmanti, confermati da altri studi che hanno rilevato anche un eccesso di mortalità del 35% per eventi cardiovascolari acuti avvenuti al proprio domicilio. 

Ma, più in generale, il rapporto dell’Istat sottolinea anche la riduzione dei posti letto nei reparti a elevata intensità assistenziale. Si è passati infatti da 3,51 posti letto per 10mila abitanti nel 2010 a 3,04 posti nel 2018, un calo considerevole che ha enormemente inciso sull’assistenza alle persone.

Inoltre, con quattro medici ogni 1.000 residenti, il nostro Paese si colloca ai primi posti in Europa ma i medici, secondo il report, sono mediamente più anziani con uno su due che ha più di 55 anni. Siamo invece agli ultimi posti in Europa per dotazione di infermieri: circa 6 ogni 1.000 residenti.

Infine, la desertificazione della medicina di famiglia che comporta un aumento degli assistiti: oltre un terzo dei medici di medicina generale (34%) supera i 1.500 assistiti nel 2018, quota più che raddoppiata rispetto al 15,9% del 2005.

Altri studi, invece, hanno messo in luce come la riduzione dei servizi sanitari si accompagna a un aumento delle diseguaglianze di salute tra ricchi e poveri, dato che le conseguenze peggiori dovute alla contrazione dei servizi si ripercuotono inevitabilmente sulle fasce di popolazione più svantaggiate. I malati di mente, le persone in stato di indigenza e gli immigrati sono infatti le persone più vulnerabili alle malattie e alle loro conseguenze. 

 

Conclusioni

C’è da dire che non tutti gli effetti della diminuzione delle prestazioni hanno una valenza negativa per la salute dei pazienti, ma ovviamente, è una questione che va affrontata cautela. Come ben sappiamo, infatti, in medicina si fanno anche prestazioni inutili o eseguite in modo non appropriato, da cui possono conseguire effetti dannosi per la salute. Questi dati sono di certo una buona occasione per riflettere e intervenire su questo fenomeno ben sapendo che la soluzione non può certo consistere in una riduzione generalizzata e incontrollata delle prestazioni. 

In altre parole, gli interventi devono essere volti in primo luogo a stabilire le priorità cliniche verso le quali orientare le risorse e ad eliminare, o quantomeno ridurre, gli esami e i trattamenti non necessari o non appropriati che costituiscono una quota rilevante della pratica medica corrente.

Categorie:Covid-19Cure Mediche

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