Stiamo vivendo una situazione drammatica dovuta all’emergenza Covid-19. Ma nel nostro recente passato, abbiamo fatto scelte che hanno ridotto la nostra capacità di reagire alle emergenze.
Negli ultimi vent’anni, la spesa sanitaria complessiva è cresciuta del 22% in termini reali.
Ma mentre il settore pubblico riduceva il numero di ospedali e posti letto, i fondi dati alle strutture private sono aumentati di quasi un terzo. Questa scelta da un lato ha indubbiamente ridotto gli sprechi ma dall’altro ha impedito di affrontare il tema della capacità di combattere le emergenze: i posti in terapia intensiva sono molti meno rispetto agli altri Paesi. Con quali risultati? Disastrosi.
Emergenza Covid-19, pronti? No.
Da una recentissima analisi svolta dall’Osservatorio dei conti pubblici, in piena emergenza Covid-19, emerge che la spesa sanitaria pubblica è cresciuta di ben il 69%, passando da 63,8 a 115,4 miliardi tra il 2000 e il 2018. Ciò significa che in termini reali c’è stato un aumento del 22%, pur se non con una progressione costante. Con il paradosso però che mentre lo Stato faceva uscire sempre più soldi, si chiudevano ospedali dappertutto.
In vent’anni la spesa sanitaria ha senza dubbio risentito di alcuni fattori, come il costo di farmaci e apparecchi sempre più sofisticati, nonché l’invecchiamento della popolazione. Ma la cura dimagrante c’è stata, e in certe situazioni molto pesante.
Secondo i dati fra il 2009 e il 2017 sono state chiuse ben 77 strutture pubbliche. Il loro numero si è ridotto da 638 a 518, con un calo del 18,8%. La chiusura degli ospedali statali ha portato a una flessione del 13,6% dei posti letto pubblici.
Con la situazione drammatica determinata dall’epidemia, questi numeri suggeriscono una serie di considerazioni. Di sicuro i tagli fatti hanno colpito anche sprechi inaccettabili, ma è altrettanto certo che non hanno accresciuto in misura determinante la capacità di rispondere alle emergenze.
Quanto agli effetti sul piano economico, con la sanità privata finanziata dal pubblico, grazie ai margini talvolta enormi garantiti dalle convenzioni, si sono costruite immense fortune.
Troppi tagli in terapia intensiva
Fino a fine febbraio l’Italia disponeva di 8,58 posti di terapia intensiva ogni 100 mila abitanti. Gli ultimi dati di confronto europei li ha pubblicati nel 2012 la prestigiosa rivista Intensive care medicine. Otto anni fa in Italia i posti di terapia intensiva erano 12,5 ogni 100 mila abitanti contro i 29,2 della Germania e i 21,8 dell’Austria. D’altronde nel 2016, stando agli ultimi dati Istat disponibili, la Germania destinava alla Sanità il 165% di fondi pubblici in più di noi (con il 35% in più di abitanti), la Francia il 90% in più (con il 9,8% in più di abitanti) e la Gran Bretagna il 66% in più (con l’8% in più di abitanti). In pratica mentre noi spendevamo 1.844 euro ad abitante, la Francia ne spendeva 3.201, la Germania 3.605 e la Gran Bretagna 2.857.
Sempre meno posti letto
Nel 2017, secondo l’Annuario statistico, il Ssn in Italia disponeva di 1.000 istituti di cura, 51,80% pubblici e 48,20% privati accreditati, per un totale di 191 mila posti letto di degenza ordinaria. Il che voleva dire 3,6 posti letto ogni 1.000 abitanti. La media europea, secondo i dati Eurostat e Ocse, era invece di 5 ogni 1.000 abitanti. Ma cosa succedeva prima dei tagli?
Nel 2007, l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 1.197 istituti di cura, 55% pubblici e 45% privati accreditati. A livello nazionale sono disponibili 4,3 posti letto ogni 1.000 abitanti». Nel 1998 c’erano 1.381 istituti, 61,3% pubblici e 38,7% privati accreditati: 5,8 posti letto per 1.000 abitanti. Al di là dei tagli, quindi, negli ultimi 20 anni, avevamo già deciso di ridurre il numero di ospedali e posti letto, soprattutto nel pubblico, aumentando la quota del privato convenzionato che, però, non fornisce gli stessi servizi (come i posti di terapia intensiva).
Siamo arrivati impreparati al Covid-19
Una cura dimagrante quella che abbiamo fatto fare alla nostra sanità pubblica che però non aveva fatto i conti con “l’imprevisto Covid-19”. Molte cose andranno necessariamente ridiscusse: a cominciare dal ruolo della Regione e della politica ma, soprattutto, del rapporto tra pubblico e privati. Quando usciremo da tutto questo, è proprio il caso di riflettere sì, ma soprattutto di attivarci concretamente per risollevare la sanità.