Grazie all’intelligenza artificiale, le tracce che lasciamo mentre navighiamo nel web possono essere raccolte e analizzate a fini medico-diagnostici.
Ogni volta che interagiamo in, con qualunque tipo di dispositivo, lasciamo delle “tracce digitali”. Oramai non è più un segreto: la maggior parte dei nostri comportamenti lascia dietro di sé delle informazioni su di noi. Da esempi più ovvi, come la ricerca di un paio di scarpe su Google al numero di passi giornalieri calcolati dal nostro smartphone, nessun dato viene perduto e tutto viene archiviato. Ogni “traccia” è in grado di rivelare molto più di quanto immaginiamo, perché le nostre ricerche non esprimono soltanto i nostri gusti o il nostro stile di vita, ma dicono molto anche sul nostro stato di salute.
Lo sanno bene, per esempio, i ricercatori della Keele University di Newcastle, nel Regno Unito, che hanno realizzato uno studio sul comportamento dei bambini affetti da autismo per individuare i casi limite, in cui la diagnosi è difficile. La fonte delle loro ricerche? Migliaia di video di bambini su YouTube, analizzati con un sistema di intelligenza artificiale istruito per valutare i minimi movimenti del corpo e trovare schemi comuni che serviranno per velocizzare la diagnosi nei bambini dei disturbi dello spettro autistico.
Tracce digitali e salute
Lo studio inglese è soltanto uno tra i tanti che utilizza le tracce digitali per scopi sanitari.
Merita una menzione speciale il progetto americano HealthMap, che raccoglie da fonti online informali dati con i quali costruire mappe di alert per la diffusione di influenze e di altre malattie e che, a settembre, ha lanciato per primo l’allarme sui problemi provocati dalle sigarette elettroniche negli Usa.
C’è poi lo studio di Microsoft che in seguito all’analisi delle ricerche eseguite su vari motori ha messo a punto un algoritmo di predizione per la diagnosi di una forma grave di tumore.
Fra gli altri sono da citare soprattutto i lavori di Isi (Ingegneria dei sistemi informativi), come quello che ha permesso di predire la diffusione del virus Zika in Colombia analizzando i dati dei telefonini rivelatori degli spostamenti delle persone. O ancora la previsione, con 3/4 mesi in anticipo, della diffusione della pandemia H1N1 nell’emisfero nord qualche anno fa. Alla base ci sono modelli che somigliano a quelli delle previsioni del tempo, in grado di dare informazioni che i sistemi sanitari pubblici possono utilizzare per prendere provvedimenti o per valutare se quanto già fatto sarà efficace.
E l’etica dove la mettiamo?
L’utilizzo delle tracce digitali sta aprendo nuovi scenari per la nostra salute, d’altra parte però non mancano i problemi. Uno tra questi è la validità dei dati: la raccolta delle informazioni infatti non si basa su campioni scelti a tavolino ma su larga scala e per questo potrebbe rivelarsi potenzialmente distorsiva.
Ma sono le questioni etiche che portano le sfide maggiori: nel caso dei video analizzati su YouTube, per esempio, i protagonisti erano consapevoli di far parte di una ricerca? Per non parlare del fatto che le fonti dei dati sono le grandi piattaforme online.
Quindi cosa possiamo fare? Se questa miriade di dati anziché essere soltanto un business fosse regolamentate con accordi trasparenti tra istituzioni e i big del web, allora la nostra salute ne trarrebbe davvero beneficio.