L’associazione Periplo Familiare tutela i diritti dei pazienti danneggiati e dei loro familiari supportandoli prima di tutto nelle giuste azioni da compiere.
La ginecologia è una branca della medicina che ha per oggetto lo studio e la cura delle patologie della donna per quanto concerne l’apparato riproduttivo e sessuale.
L’ostetricia invece è un ramo delle professioni sanitarie che si occupa dell’assistenza alla donna durante la gravidanza, il parto ed il puerperio. Essa studia le normali modificazioni che avvengono all’interno del corpo femminile durante la gravidanza, durante le fasi del parto e nell’immediato periodo dopo il parto. Si occupa di tutte le condizioni patologiche che possono insorgere a carico della madre e del bambino. Si avvale, inoltre, di due figure professionali: il medico specializzato in ostetricia e ginecologia e la figura professionale dell’ostetrica, professionista specializzata nell’assistenza alla donna prima, durante e immediatamente dopo il parto.
I casi più frequenti di errori medici che si registrano in ostetricia sono costituiti dal ritardo nell’espletamento del parto e conseguente morte o grave invalidità del neonato, la mancata diagnosi di malformazioni in epoca prenatale in tempo utile per poter effettuare l’aborto terapeutico, l’omessa o intempestiva diagnosi del distacco della placenta e la distocia della spalla del neonato; mentre in ginecologia i casi più ricorrenti sono rappresentati dalla omessa diagnosi di tumori dell’apparato genitale femminile e l’ingiustificato intervento di isterectomia.
Nel delicato campo della ginecologia e ostetricia, l’associazione Periplo Familiare si impegna a fornire assistenza legale a chi ha subito danni a causa di errori medici. Il nostro team di avvocati specializzati in malasanità, supportato da esperti medici in ginecologia e ostetricia, è preparato a offrire consulenza e rappresentanza legale per ottenere il dovuto risarcimento danni e garantire la tutela dei diritti delle pazienti. Come associazione per la tutela delle vittime di malasanità, ci impegniamo a garantire un’efficace rappresentanza legale e a trattare ogni caso con professionalità e serietà.
Per diagnosi prenatale si intende un insieme di indagini, sia strumentali sia di laboratorio, aventi lo scopo di monitorare alcuni aspetti dello stato di salute del feto durante la gravidanza.
Nella popolazione generale, la probabilità di avere un bambino con un problema presente alla nascita (congenito) è pari a circa il 3%; nell’1% dei casi si tratta di anomalie che riguardano i cromosomi o il DNA, negli altri casi di malformazioni congenite (ad esempio del cuore o dei reni) o di altre malattie (ad esempio, malattie infettive).
Tutte le indagini prenatali disponibili (ecografie, test non invasivi e test invasivi) permettono di identificare solo alcune malattie o condizioni patologiche ed è importante che ogni coppia scelga con consapevolezza se sottoporvisi o meno. Offrire alla coppia un colloquio con un genetista che permetta loro di effettuare una scelta informata e consapevole è parte integrante della diagnosi prenatale.
Invalidità totale per mancata diagnosi prenatale
Luigi e Adriana sono una coppia felicemente sposata e in attesa del loro secondo figlio. Adriana, 38 anni, durante la sua gravidanza non ha riportato alcun problema e si è sottoposta ai controlli ecografici di routine nonché agli esami per la diagnosi prenatale, che non hanno mai rilevato alcunché di anomalo. Il giorno del parto però, la piccola Valentina nasce affetta da Mielomeningocele (spina bifida) associata alla Sindrome di Chiari II con idrocefalo evolutivo, patologie che rendono la piccola invalida al 100%.
IL DANNO SUBITO
La mancata diagnosi degli screening ed esami prenatali non ha evidenziato la gravissima patologia da cui era affetta la piccola.
IL RISARCIMENTO
Pur di fronte ad un caso così eclatante si è stati costretti ad intentare un giudizio di merito, nel corso del quale la consulenza medico legale disposta dal Tribunale di Busto Arsizio, ha concluso per la responsabilità dei sanitari della struttura ospedaliera convenuta, la quale è stata condannata al pagamento in favore dei genitori e del fratello della somma di € 500.000,00 ciascuno.
La rottura d’utero in gravidanza o nel post-partum può verificarsi in seguito ad eventi traumatici accidentali o traumi da manovre ostetriche per distocia (rivolgimento interno, applicazione alta di forcipe o ventosa, manovra di McRoberts, manovra di Jacquemier, manovra di Wood, manovra di Rubin) con una frequenza che oscilla fra lo 0.5% e il 3.5%.
In caso di macrosomia fetale, durante il travaglio l’espulsione del feto diventa difficoltosa o impossibile e allora il corpo dell’utero si contrae sempre più sul polo fetale mentre il segmento uterino inferiore si allunga e si assottiglia fino a lacerarsi. Stesso meccanismo si verifica in caso di iperdosaggio di ossitocina o di prostaglandine.
In tal caso all’ipertonia delle pareti uterine si oppongono i diametri fetali non idonei al passaggio attraverso il canale del parto per mancata riduzione e/o rotazione. Se avvenga o meno la rottura dell’utero dipende dalla resistenza opposta all’espulsione, dalla forza di contrazione del corpo dell’utero e dalla presenza di fattori favorenti la rottura.
Emorragia post parto per sovradosaggio di ossitocina
La signora Laura ha 38 anni, è alla quarantunesima settimana e 2 giorni di gravidanza, e si reca al pronto soccorso per rottura delle membrane. La signora, così come consigliatole dalla sua ginecologa, fa richiesta sin da subito di parto cesareo per via di un utero fibromatoso e una macrosomia fetale (gr. 4220). Malgrado ciò, i medici decidono di procedere con un parto naturale somministrando dosi via via crescenti di ossitocina e procedendo ad una dilatazione manuale.
Dopo ore estenuanti di travaglio e richieste imploranti per l’esecuzione del taglio cesareo, i medici la sottopongono a un’anestesia epidurale e, dopo 16 ore dal ricovero, Laura dà alla luce la sua bambina del peso di gr. 4330. Nel post parto, poiché l’utero non si contraeva, decidono di somministrare altra ossitocina, ma questo genera una grave emorragia per la quale la signora ha dovuto subire un intervento di isterectomia totale urgente.
IL DANNO SUBITO
La grave emorragia per rottura uterina, ha arrecato alla signora Laura danni sia sotto il profilo fisico, sia dal punto di vista psicologico, con gravi e importanti ripercussioni sulla vita di relazione e numerose difficoltà nei rapporti familiari.
IL RISARCIMENTO
Presi contatti con la struttura ospedaliera e successivamente con la compagnia assicuratrice della stessa, la vertenza si è definita con la liquidazione alla signora Laura della somma di € 84.000,00.
Il parto cesareo è un intervento chirurgico nel quale la nascita del bambino avviene attraverso un taglio nell’addome della madre. Il ginecologo e/o la donna scelgono questa modalità quando si presentano essenzialmente due situazioni: un parto programmato o un parto in emergenza.
Un parto cesareo, inooltre, può risultare necessario quando sussistono: problemi di salute nella madre, nel bambino, parto gemellare, dimensione o posizione del bambino, problemi durante il travaglio.
L’intervento è relativamente sicuro per entrambi, soprattutto quando programmato, anche se si tratta pur sempre di un intervento chirurgico. Il principale svantaggio rispetto al parto tradizionale è la necessità di un periodo di convalescenza più lungo per la mamma e un aumento del rischio di complicazioni nel caso di successive gravidanze.
Disabilità infantile per cesareo ritardato
La signora Serena ha 37 anni ed è in attesa di una bimba. Alla 39ª settimana e 3 giorni di gestazione, Serena deve recarsi al Pronto Soccorso di un ospedale di Roma per dolori da travaglio: la sua gravidanza, fino ad allora, ha avuto un decorso fisiologico e non problematico.
La gestante viene sottoposta ad un monitoraggio cardiotocografico e a una visita ostetrica che confermano il procedere regolare del travaglio.
A distanza di 4 ore, il personale decide di eseguire la rottura artificiale delle membrane e, successivamente, un lungo monitoraggio che evidenzia segni di sofferenza fetale con gravi decelerazioni del battito. Solo di fronte a un quadro clinico così compromesso e dopo ben 12 ore dal ricovero, Serena viene sottoposta a episiotomia, vengono usate ben 5 ventose ostetriche con ripetuti tentativi e praticate 8 manovre di Kristeller che, vista la posizione cefalica non in linea, non danno risultati in termini espulsivi ma diventano la causa di una grave sofferenza respiratoria.
Solo dopo aver eseguito questi vani tentativi, i sanitari decidono per un taglio cesareo.
Viene così alla luce la piccola Beatrice che, oltre a presentare edema da ventosa alla testa e miosi fissa degli occhi, viene anche intubata per assenza di respiro spontaneo e ricoverata per ben 30 giorni con diagnosi di asfissia perinatale.
Sarebbe bastato eseguire il taglio cesareo al momento dell’insorgere dei primi segni perché si evitassero le gravi conseguenze neurologiche riportate dalla bimba. La CTU disposta dal Magistrato depone per una sottovalutazione da parte dei sanitari della sofferenza fetale e per un intempestivo ricorso al taglio cesareo.
IL DANNO SUBITO
Quando sussistono casi di errore medico in ostetricia, il danno coinvolge sempre due vite: quella della mamma e del suo bambino. In questo caso, Serena ha subito un’inutile sofferenza riportando un trauma psicologico. La piccola Beatrice, purtroppo, ha riportato una grave disabilità psicomotoria dovuta alla prolunga carenza di ossigeno.
IL RISARCIMENTO
Il giudizio si è concluso con l’emissione di una sentenza di condanna con liquidazione a favore della bimba e dei suoi familiari di complessivi € 3.600.000,00.
I fibromi uterini, conosciuti anche come leiomiomi o miomi, sono tumori benigni dell’utero piuttosto comuni, tanto che circa il 30% delle donne ne soffre, anche se la maggior parte di esse non presenta alcun sintomo.
Decesso per assenza diagnostica
Claudia, una donna di 48 anni, è affetta da un fibroma uterino di importanti dimensioni, ma monitorato costantemente attraverso visite periodiche ed esami specifici.
Un giorno Claudia accusa forti dolori al basso ventre e pertanto si reca al Pronto Soccorso con trasporto in ambulanza. Al Pronto Soccorso viene sottoposta ad esami ematici ed ecografici e dimessa dopo poche ore con un codice verde: poco critico con assenza di rischi. Poiché, a distanza di solo cinque ore, i dolori non si arrestano ma aumentano e si accompagnano anche a episodi di vomito, Claudia torna presso il medesimo ospedale.
Il peggioramento delle condizioni cliniche della signora induce a questo punto i sanitari a effettuare una TAC, dalla quale emerge un quadro di peritonite acuta diffusa a cui si aggiunge uno stato di sepsi. La signora Claudia viene quindi sottoposta a un intervento d’urgenza di isterectomia totale durante il quale si presenta un’emodinamica instabile, più un’acidosi metabolica importante: stato che purtroppo porterà, il giorno seguente, al decesso della signora.
IL DANNO SUBITO
Lo stato di salute della signora Claudia avrebbe dovuto, fin da subito, attivare nei sanitari un’indagine diagnostica maggiormente esplorativa, che non avrebbe dovuto limitarsi ai soli esami ematici o ecografici. Questo ritardo purtroppo si è rivelato fatale.
IL RISARCIMENTO
Il giudizio incardinato avanti il Tribunale di Milano si è concluso con una sentenza che ha liquidato ai sei familiari della signora Claudia la somma di € 268.000,00 ciascuno.